Shake

sara in sicily
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Giugno 2019

Saudagorìa”, della cantautrice palermitana Sara Romano, è un lavoro prodotto da Marco Corrao questa volta con il preziosissimo contributo artistico del cantautore Michele Gazich. Un album maturo, che affronta diverse tematiche e che lo si può guardare sotto diversi punti di vista.

Tutto il lavoro è molto malinconico, raggiungendo picchi di eterea intimità. Sara con la sua lingua, il siciliano, si perde in storie figlie di altri popoli, storie per l’appunto, che partono da lontano e che oggi ci appartengono, che fanno parte della nostra cultura.

Una cultura spesso avvilita, maltrattata, fatta di retaggi che ci portiamo dietro come macigni. E Sara riesce a cantarli sì con velata tristezza, ma anche con tanta consapevolezza. Il tour americano che ha compiuto anni fa e l’apporto di Gazich donano a “Saudagorìa” quella leggerezza folk di cui l’album – a volte indebolito dall’uso smodato di chitarra, viola e violino – aveva bisogno.
“Nella neve” si apre con le corde di Gazich e le circolari chitarre di Marco Corrao:“Un figlio nella neve mi hai chiesto, non lo vedi che c’è il sole, non ci sarà un altro posto…” e la velata malinconia di queste immagini contrastanti, come gli amori giudicati, si porta via un “peso enorme” corale nel finale con Valeria Graziani ma che non cambia sonorità.

I violini alterano suadentemente le note della title track “Saudagoria”, in cui la malinconia, la “saudagi” è una figura retorica per catturare l’emozione, il sentimento legato a un ricordo “che non torna più” e la Romano canta sognante con Gazich che dà il tocco di grazia: “… mi sveglio e mi accorgo di essere senza te, mi vergogno e ripenso ai tuoi giorni di argilla discreta”… 

I palm mute danno il benvenuto a “La Strega” e i violini curiosi lacerano benevolmente mentre Sara “voleva soltanto giocare con la luna”… come Margarita di Scicli e come tutte “le donne delle notti di luna” del drammaturgo siciliano Claudio Forti. “La genti” trova il suo posto tra i volti del Sud, di uno strato arcaico che ancora resiste: “Tu unnu sai ma iddu rici chi palla cu lu sirpenti…” e la nostra “cunta” con la mano “a coppo”, quelle che si usano per parlare alle orecchie delle persone, quelle del passaparola. Ampio intro di arpeggi di chitarre e violini che si guardano negli occhi empaticamente.“La Strega” e “La genti” porta a “Cause”, a “chianti di stenti”, “morti e tradimenti” con lo stesso mood minimal di corde pizzicate e arpeggiate dei brani precedenti. Poi Gazich spinge verso la seconda parte e lacera come le ferite fisiche e psicologiche perchè “spara la vucca”… e mesi e mesi a farsi male prima di trovare, chi ha la fortuna di trovarla, la salvezza dell’anima. In questo senso anche “Piccola”: “oggi ti guardo nascosta dietro un battito troppo forte da sopportare” e le corde pizzicate e circolari, troppo minimal nella voce, a cui mancano delle incursioni più elettriche. Sara parla a cuore aperto con l’altra persona, che la vede ancora come “una bimba”. Ma quella bimba è ormai cresciuta.“D.A.N.A.” è un altro pezzo in dialetto siciliano con gli archetti fendenti – rievocando i Quintorigo di “In Cattività” – su cui si adagia la sola voce della cantautrice: “Arrusti lu cori passannu chianu” e la vocalità si fa sempre più eterea, come riemersa da chissà quale favola antica, di draghi e principesse ribelli. Ed è qui che entrano anche le chitarre di Corrao, a voler ammorbidire l’inquietudine, ad abbracciare con la successiva “Sotto i 35 gradi”: “Ed io galleggio sull’astinenza dell’acqua, io sospendo il giudizio e il calore… ed io dondolo su un pezzo di terra”... chissà quale terra, chissà dove, in quale posto nel mondo. E “il freddo glaciale” pian piano si fa sentire nel testo ma sicuramente non negli arpeggi. Sullo stesso filo dei ricordi corre “Malatempora”: “Tri fimmini cantanu virtù e unuri, Armani Nicandra e Peristea d’amuri…”. Sara Romano dà voce a una madre che perde un figlio mosso da valori, falsi valori… quello che resta sono le spine lasciate lì da Corrao che batte sulle corde basse. Indubbiamente il brano più ‘psichedelico’ per certi aspetti.Per chiudere, “Unni unni”, ovvero “dov’è”, che riprende una ballata gaelica con il coro caldo del cantautore Mimì Sterrantino. Quando Sara spinge ricorda Antonella Ruggiero, però meno lirica e più sporca. Un bel pezzo dal sapore folk che è un degno epilogo.